Primo intervento ieri alle Nazioni unite della sedicenne svedese, simbolo globale della lotta per il clima «All’Opec mi definiscono la più grande minaccia all’industria fossile? Lo considero il complimento migliore»
L’intervista Greta Thunberg
Greta: «All’Onu dirò di ascoltare gli scienziati»
Uno scricciolo. Una ragazzina piccola, esile e silenziosa. Che quando parla però scandisce bene le parole. Le tira fuori dai suoi silenzi, quella disabilità che ha scoperto di avere a undici anni: «Sono i miei superpoteri». Parole chiare, semplici, senza mezzi termini, che pesano e interrogano i potenti del mondo e che, assieme alla sua protesta settimanale davanti al parlamento svedese, l’hanno fatta diventare in breve icona di una generazione, assurta a simbolo globale della lotta contro il cambiamento climatico.
Greta non sorride quasi mai. Ma è determinata, come pochi. Concentrata su quello che vuole ottenere, forse anche per via della sua sindrome da Forrest Gump. Ascoltare questa giovane di 16 anni che parla lentamente, gli occhi da cerbiatta sul viso tondo, i capelli raccolti in una lunga treccia, mi ricorda i versi del Magnificat, dell’umiltà e della grandezza, dei potenti sui troni e dell’infinitamente piccolo. Provate a chiedere a dieci persone che faccia abbia Antonio Guterres, il segretario delle Nazioni Unite che ha dedicato l’Assemblea Generale che inizia domani proprio al clima, chiamandola Climate Action Summit: pochi vi risponderanno. Provate a chiedere alle stesse persone chi è Greta Thunberg: tutti, anche i più distratti, vi diranno che conoscono questa ragazza svedese.
Sedici anni, di Stoccolma, una famiglia come tante. Una sorella più piccola, Beata, e due genitori che la sostengono amorevolmente: il padre Svante Thunberg, attore svedese di teatro e tv – che in questi giorni a New York la segue dietro le quinte e cerca di proteggerla da questa ubriacatura di celebrità inaspettata – e la madre, il mezzo soprano Malena Ernman.
Quando di anni ne aveva solo otto la piccola Greta ha sentito per la prima volta parlare dei cambiamenti climatici. Non capiva perché nessuno facesse qualcosa per fermarli. A 11 anni ha deciso di agire, nello stesso periodo in cui i genitori hanno scoperto la forma di autismo – la sindrome di Asperger – che aveva nascosta da qualche parte.
Il silenzio, quello che lei chiama «il mio mutismo selettivo», è stato il primo passo per maturare dentro sé le sue capacità, seguito dalla necessità di voler agire, di voler fare qualcosa di concreto. «Dico a tutti i ragazzi: non sottovalutatevi, abbiate fiducia nelle vostre capacità, siate creativi. Ogni azione può avere un impatto. Nessuna cosa è troppo piccola per cambiare il mondo».
L’idea degli scioperi per il clima le è venuta a febbraio di un anno fa: aveva sentito dei ragazzi in Florida che scioperavano dopo l’ennesimo attentato con le pistole in una scuola. Ad agosto ha cominciato a protestare davanti al Riksdag, il parlamento svedese. Ogni giorno, dalla mattina alla sera, per tre settimane di fila, in silenzio con il suo cartello di compensato verniciato di bianco – lo stesso che ha qui oggi con sé sottobraccio – con la scritta a mano a caratteri grandi “Skolstrejk for klimatet”, sciopero scolastico per il clima. Ai primi giornalisti incuriositi da quella ragazzina seduta davanti alla recinzione del parlamento aveva spiegato che era lì per chiedere ai deputati di ridurre le emissioni inquinanti come chiesto dall’Accordo sul clima di Parigi: «Faccio questo perché gli adulti stanno cag… sul mio futuro», aveva sentenziato senza giri di parole.
Gli scioperi sono diventati settimanali, ogni venerdì. È nato il movimento “Fridays for future” che ha ispirato in appena sei mesi un milione e mezzo di teenager in tutto il mondo, Italia compresa. I social network hanno fatto il resto. Greta è diventata il simbolo di questa protesta. Ha parlato alla Conferenza Onu sul clima in Polonia, poi al summit di Davos.
A luglio il segretario dell’Opec, il cartello dei paesi produttori di petrolio, ha detto che Greta e gli altri giovani attivisti per il clima rappresentano «la più grande minaccia» all’industria dei combustibili fossili. Lei dice: «È stato il più grande complimento che abbiamo ricevuto».
È arrivata a New York a Battery Park accolta da migliaia di persone, dopo un viaggio di 15 giorni su una barca mossa da pannelli solari. Invita le persone a non usare più gli aerei per non inquinare. Idea radicale e un po’ utopica, impossibile con le tecnologie attuali da mettere in pratica, considerando i commerci e la velocità con cui viviamo e ci spostiamo. Ma le parole dell’oracolo-bambina spingono politici e aziende ad agire e le persone a interrogarsi per mutare le abitudini di consumo.
L’ambientalismo con l’emergenza climatica non si può ridurre a una battaglia di destra o di sinistra, di favorevoli o negazionisti. È una battaglia di tutti, dell’umanità. Un’occasione per le nazioni di rivedere i loro modelli di sviluppo e di crescita. Le politiche per la tutela delle acque, del paesaggio, il consumo di suolo, il recupero e la valorizzazione del patrimonio architettonico di borghi e città d’arte – in Italia potrebbe essere la molla per far ripartire l’edilizia – la conversione a tecnologie pulite, e così via. I ragazzi degli scioperi del clima chiedono un “Green new deal”, un grande patto verde che possa essere anche un’opportunità di sviluppo per le imprese e l’occupazione.
Domani Greta parlerà all’Assemblea Generale dell’Onu dei capi di stato e di governo. Il suo discorso è quello più atteso. Più di Guterres, più di Donald Trump che aprirà i lavori. Una piccola ragazza davanti ai potenti del mondo. «All’Onu e a Trump dirò che non bisogna ascoltare me ma quello che dicono gli scienziati. Bisogna ammettere che quello che è stato fatto finora non è stato sufficiente e che c’è un’emergenza climatica: da 12 anni i politici parlano di ridurre le emissioni ma non fanno niente». Non è troppo tardi per salvare il pianeta dice lei. «Gran parte degli studi scientifici sostengono che è ancora possibile evitare gli scenari peggiori». Lo slogan è: “Action now”. «Agire adesso per trovare soluzioni nei territori locali e non solo più dichiarazioni internazionali».
Greta ieri ha parlato al Vertice dei ragazzi Onu, accolta da una vera e propria ovazione. E venerdì ha marciato assieme ai giovani di New York e idealmente assieme ai milioni di persone che hanno manifestato in 150 paesi del mondo lo stesso giorno per il Global Climate Strike: una partecipazione stimata da due a quattro milioni di ragazzi al grido di «Salviamo il nostro pianeta, è l’unico che abbiamo».
«Lo sciopero globale di venerdì è stato un evento gigantesco. Insieme stiamo cambiando il mondo ma ognuno può essere leader di questo movimento». Un buon punto di partenza è quello di «informarsi per capire la portata del problema. Poi ci sono tante cose che possiamo fare nella vita di tutti i giorni». Lei parla di diventare vegani – come se bastasse – non volare più, diminuire gli acquisti, cambiare gli stili di vita. «La gente quando mi incontra spesso mi chiede che cosa penso del futuro. Se sono ottimista o pessimista. Io dico sempre che sono realista. Ma non possiamo chiudere gli occhi e fare finta di niente. Dico che ci salviamo se facciamo quello che ci viene richiesto e se mettiamo davvero in campo delle azioni che prevengano quello che gli scienziati dicono accadrà».
Ridurre le emissioni non è sufficiente, secondo lei. «Le risorse del nostro pianeta sono limitate è il nostro modello di crescita che va rivisto. Ci sono sette miliardi di persone nel mondo. Ci sono catastrofi per il cambiamento del clima che stanno arrivando in molte parti del mondo e che impatteranno sulla vita di centinaia di milioni di persone se non ci muoviamo in fretta. Le decisioni che i politici prendono o non prendono oggi impattano sulla vita di noi giovani che saremo gli adulti di domani. Chiediamo di avere un futuro. È troppo secondo voi?»