ALIA E’ CON TE DA 10 ANNI, FOTOVOLTAICO – BIOMASSA – GEOTERMIA – MICROCOGENERAZONE

Da rinnovare anche gli impianti «green»

La parola d’ordine, per il settore degli impianti green è rinnovamento. Dalla produzione di energia elettrica e termica alle installazioni industriali, fino apparecchi domestici o da ufficio. Rinnovamento che coinvolge in primis il parco impianti obsoleto, che costringe ancora l’Italia a un uso importante di combustibili fossili. Ma anche rilancio di quei sistemi che, pur essendo già alimentati con fonti energetiche rinnovabili (Fer), dopo anni di progresso tecnologico, necessitano di un “revamping”, cioè di una revisione delle componenti, per allinearsi a uno standard di efficienza al passo con i tempi.
Partiamo dagli impianti a bioenergie: cioè le stufe e le caldaie a biomassa, che coprono il 75% dell’energia termica verde prodotta in Italia. «La sostituzione di un vecchio apparecchio, anche se già alimentato a biomassa, con un impianto di ultima generazione – afferma Annalisa Paniz, rappresentante del Gruppo apparecchi domestici dell’Aiel, l’Associazione che rappresenta la filiera italiana legno-energia – permette di ridurre le emissioni inquinanti anche del 60%. E i margini per essere incisivi su questo fronte sono molto ampi». Basti pensare che il 55% degli impianti domestici (o sotto i 35 kW) alimentati a legna è stato installato in Italia prima del Duemila: oltre 4,5 milioni di apparecchi hanno più di vent’anni e sostituirli vorrebbe dire più che dimezzarne le emissioni. «Proprio per sensibilizzare gli utenti – prosegue Paniz – abbiamo lanciato di recente uno schema di certificazione volontaria, che si chiama Aria Pulita e che classifica gli apparecchi fino ai 35 kW in base al rendimento e alle emissione, assegnando un punteggio fino a 4 stelle. L’Italia, oltre a rappresentare il principale mercato per la vendita di apparati domestici a biomassa, è anche uno dei Paesi più competitivi sotto l’aspetto della produzione. Il 57% dei prodotti disponibili sul mercato, specie quelli alimentati a pellet, ha un’efficienza pari a 4 o 5 stelle. Il ricambio, grazie al conto termico, è anche sostenuto da incentivi statali».
Il revamping riguarda anche le rinnovabili per la produzione di energia elettrica. «Uno dei grandi problemi di questo comparto – spiega Agostino Re Rebaudengo, presidente di Assorinnovabili, associazione che rappresenta oltre mille aziende produttrici e 2.400 impianti – è che non esistono forme di sostegno per rinnovare le tecnologie già installate e a fine carriera». Soprattutto nel settore eolico, i primi impianti che risalgono agli anni Novanta potrebbero essere riattualizzati. Tuttavia, a livello procedurale, reimpiegare un sito esistente è analogo, a livello autorizzativo, a partire da zero. «Questa tendenza va invertita . I siti esistenti opportunamente trattati – prosegue Re Rebaudengo– possono infatti tornare a produrre energia pulita a costi sempre minori e con un impatto ambientale e paesaggistico nullo, riducendo il consumo di suolo. Un’altra delle nostre richieste è prevedere l’utilizzo di componenti usati e non solo nuovi o rigenerati per la manutenzione dell’esistente». Una possibilità che oggi non è contemplata, perché si parte dal presupposto che se un componente è già stato utilizzato per un impianto che ha ricevuto incentivi, non può essere “sostenuto” due volte.
Recuperare l’esistente significherebbe, del resto, dare una nuova spinta importante a un settore che, di fatto, oggi è una realtà anche in Italia: secondo una fotografia scattata dal Gestore servizi energetici, i consumi di rinnovabili sono passati dal 6,3% del 2004 al 17,3% del 2015. «Anche se siamo lontani dai picchi di crescita di qualche anno fa, quando c’erano sul piatto forti incentivi – aggiunge Re Rebaudengo – il settore è stabile e, rispetto al passato, molto più competitivo. In particolare, il prezzo di produzione dell’energia è diminuito e alla portata di un mercato di consumatori molto più ampio». Per questo, oltre al rinnovo del parco esistente, una delle sfide è allargare la base dei possibili utilizzatori finali. Una delle richieste degli operatori è passare dalla logica di generazione centralizzata a una di generazione distribuita, che consenta ad esempio nei condomini di utilizzare l’autoproduzione anche nelle singole unità immobiliari e non solo nelle parti comuni (oggi ogni impianto può essere agganciato a un unico contatore). Allo stesso modo, viene chiesto al Governo l’inserimento degli impianti di micro-cogenerazione, fra i 20 e i 50 kW, tra gli interventi di riqualificazione degli edifici che accedono all’ecobonus. Si tratta di quegli impianti che utilizzano il gas o biogas per produrre non solo energia termica, ma anche elettrica e consentono così di utilizzare al 95% delle proprie potenzialità la materia prima, senza dispersioni e sprechi. Una tecnologia che, applicata ai palazzi residenziali, così come alle strutture terziarie, può fare davvero la differenza sull’ambiente.

DA FONTE: “IL SOLE24ORE”